Lo ha chiarito la Corte di cassazione, ordinanza n. 2375 depositata oggi, affermando che vanno applicati i medesimi principi affermati in materia di sangue infetto.
Al risarcimento per i danni prenatali derivanti dall’assunzione del farmaco Talidomide da parte della madre, si applica lo stesso regime di prescrizione relativo ai danni da emotrasfusione di sangue infetto. Il termine dunque inizia a decorrere dal momento della presentazione della domanda di indennizzo, a meno della dimostrazione, da parte della amministrazione interessata, di una consapevolezza precedente del nesso causale. La Corte di cassazione, ordinanza n. 2375 depositata oggi, ha così accolto il ricorso di un uomo nato focomelico contro la sentenza della Corte di appello che invece aveva dichiarato prescritto il suo diritto al risarcimento del danno.
In primo grado invece il Tribunale, accogliendo la domanda, aveva liquidato circa 320mila euro in suo favore. Il giudice di secondo grado, accogliendo il ricorso del ministero della Salute, invece, ha ritenuto che fosse “inverosimile o estremamente improbabile che nessun pediatra o medico di base” avesse indicato ai familiari – nonché, successivamente, “al medesimo paziente divenuto maggiorenne” – la “possibile causa della sua peculiare infermità”. In considerazione del fatto che tre anni dopo la nascita, il Ministero, con una serie di decreti, aveva ritirato il farmaco dal commercio. Affermando che il “dies a quo” doveva farsi decorrere “dal compimento della maggiore età”.
In questo modo, però, la sentenza impugnata ha formulato “mere ipotesi congetturali, sfornite di qualsivoglia base fattuale” e ha così disatteso il principio secondo cui la prova presuntiva, proprio perché destinata a contraddire un fatto storico obiettivo (la presentazione della domanda di indennizzo), “si deve fondare su fatti certi”, ovvero, “si deve dedurre da questi sulla base di massime d’esperienza o dell’«id quod plerumque accidit»”, non potendo tale presunzione consistere in una congettura, o meglio in “una mera supposizione”.
In altri termini occorre che “il fatto noto dal quale risalire a quello ignoto sia circostanza obiettivamente certa e non mera ipotesi o congettura, pena la violazione del divieto del ricorso alle «praesumptiones de praesumpto»”.
“Il termine di prescrizione del credito risarcitorio relativo ai danni, subiti nella fase di vita prenatale a causa dell’assunzione di farmaci ad effetti teratogeni da parte della gestante – chiarisce la Cassazione affermando un principio di diritto -, decorre, di regola, dalla presentazione della domanda amministrativa di erogazione dell’indennizzo di cui all’art. 1 della legge 29 ottobre 2005, n. 229, salvo prova, di cui è onerato il convenuto, da fornirsi anche in via presuntiva, che la consapevolezza, in capo al danneggiato, del nesso causale tra l’assunzione del farmaco e la propria condizione di disabilità e/o menomazione non sia maturata in epoca anteriore”.
Fonte articolo di Francesco Machinas Grifeo
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Sul punto, pubblichiamo il parere dell’Avv. Antonio Segalerba, componente del CTS dell’Associazione V.I.TA – Vittime Italiane Talidomide
Intervengo sull’importante tema del TERMINE per proporre ricorso per il riconoscimento dell’indennizzo da talidomide.
Abbiamo avuto molti casi in cui i soggetti danneggiati da talidomide, che fondavano la loro richiesta sulla legge del 2007, e segnatamente i nati tra 1959 e il 1965, che si sono visti respingere la domanda perché presentata decorsi i 10 anni dall’entrata in vigore della norma.
Il Ministero della Salute invoca infatti la disposizione di un decreto attuativo che indica nei 10 anni il termine per presentare domanda con la conseguenza che dal 1.1.2018 tutte le istanze per le annualità dal 1959 al 1965 sono state respinte.
Abbiamo sempre contestato questo principio per diverse ragioni ma la più rilevante era legata al fatto che il termine di 10 anni poteva essere fatto decorrere non da una data fissa bensì dal momento in cui il soggetto danneggiato aveva conoscenza specifica che i danni da lui subiti durante la gestazione e riscontrati alla nascita fossero causalmente legati all’assunzione del principio attivo della talidomide da parte della madre.
Questi principi generali erano già stati espressi anche in materia di emotrasfusi. Le pronunce di merito hanno avuto esiti alterni e fino ad arrivare ad una prima importante affermazione della Cassazione con l’ordinanza del 3 giugno 2020, sesta sezione civile, n. 10515 con la quale si è affermato in modo chiaro che il termine poteva decorre dalla conoscenza avvenuta attraverso una relazione medica specialistica che affermasse il nesso causale tra le lesioni e il farmaco.
Questo principio è oggi consolidato con l’importante pronuncia della Cassazione, con l’ordinanza del 24 gennaio 2024, terza sezione civile, n. 2375.
Pertanto, il soggetto danneggiato – se prova di aver avuto conoscenza solo in un momento successivo del nesso causale tra le lesioni (ovviamente note fin dalla nascita) e l’assunzione del principio attivo del talidomide da parte della madre – dovrà dedurre e articolare queste prove nel processo fornendone adeguata prova e potrà quindi invocare i principi espressi dalle due sentenze di Cassazione citate e chiedere che il termine decennale decorra solo dal momento in cui ha avuto questa cognizione piena.
Nella difficile battaglia per il riconoscimento dei diritti dei soggetti danneggiati da talidomide abbiamo una nuova e importante affermazione da valorizzare.
Genova-Chiavari, 27 gennaio 2024
Avv. Antonio Segalerba